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Silent Night – Il silenzio della vendetta, la recensione del film di John Woo di Martina Corvaia

Generalmente la costruzione di un film è basata sulla sceneggiatura e sull’azione scenica. Parole accompagnate da gesti ed espressioni seguono lo schema inizio-svolgimento-conclusione. Un classico di ogni genere cinematografico, dopotutto. Un classico, è vero. Ma non per il regista di Bullet in the Head (1990). Non per Silent Night, che di azione violenta da videogame se ne intende parecchio. Si parla più di un classico rivisitato sulla cifra stilistica di John Woo.

In Italia Silent Night esce con il sottotitolo di Il silenzio della vendetta. Azzeccato se si pensa alle due parole che invadono letteralmente l’ultima pellicola del regista hongkonghese: silenzio e vendetta. Silent Night è un film quasi muto, con qualche dialogo accennato, rumori assordanti di spari, colpi sanguinosi inferti intervallati dalla furia spietata di Godlock (Joel Kinnaman) e la vendetta che qui più che mai si trasforma in un piatto che va gustato freddo. Squisitamente efficace come il regolamento dei conti sia condotto in silenzio, senza proferire parola alcuna. Non per scelta, si intende. Ma per un colpo di pistola volontario sparato sulle corde vocali. Ma si può uccidere la parola? Senza la parola, che fine fa il corpo?

Combatte. Si riprende dopo qualche bottiglia di troppo. Agisce di conseguenza in seguito a una pallottola vagante che ha mortalmente freddato la vita di un povero bambino innocente. Suo figlio. E Godlock assaggia la collera, si allena, scova i responsabili, scopre i loro nascondigli e si prepara a dovere prima di intraprendere la battaglia più grande contro sé stesso. Fino a dove può spingersi un padre prima di trovare la quiete?

Una famiglia spezzata. Il matrimonio felice che si sfalda in nome di qualcosa di più importante di un legame sentimentale incastrato tra due anelli. Un killer feroce che si avvale tuttavia di un aiuto, troppo in ritardo per capire la gravità della situazione. Un assassino che addirittura salva coloro che dovrebbero garantire la sicurezza nelle strade. Indizi da thriller giallo percettibili agli occhi di tutti di cui nessuno, pare, riesce ad accorgersi. E il silenzio ancora una volta padrona di un uomo che non riesce a darsi pace. Che apprezzabile intenzione di partenza quella di John Woo. Con le sue vorticose riprese da videogioco sulle scene di combattimento che ricordano tanto l’ultimo capitolo di John Wick ‒ non a caso i produttori sono proprio quelli della saga del sicario più conosciuto ‒ i rallenty avventati che bloccano l’istante dell’azione nel buio dei bassifondi criminali in piena suspense, flashback che incorniciano le lacrime versate sul rapporto tra padre e figlio e un finale che lascia poco spazio all’immaginazione.

Silent Night racconta una storia in silenzio. Le parole vengono sostituite da due occhi infuocati che trapassano ogni limite. La vita del figlio vale più della propria. Ma la vendetta, a volte, ha bisogno di nutrirsi nei vari snodi narrativi e Silent Night, ahimè, si destruttura proprio in quei dettagli che potevano ben incasellarsi nel mosaico d’azione. Si sa, i dettagli fanno la differenza. E in Silent Night i particolari dovevano prevalere invece di andare a perdersi. Peccato.

VOTO: 6/10

Martina Corvaia

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