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Lepore ha consegnato la Turrita d’argento a Samuel Pinto

BOLOGNA – Oggi in sala Rossa a Palazzo d’Accursio il sindaco Matteo Lepore ha consegnato la Turrita d’argento a Samuel Pinto, esule cileno, attivista per il riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali, ideatore e promotore del Cassero.

Durante la cerimonia il Sindaco ha ricordato che “l’11 settembre 1973 rappresenta un momento storico importante non solo a livello internazionale ma anche per la nostra città, per il gran numero di esuli che hanno trovato rifugio a Bologna. Tra questi Samuel Pinto che è nostro concittadino da allora ed è stato protagonista di tante battaglie e conquiste nel campo dei diritti civili. È un anniversario importante anche perché proprio in quegli anni iniziò un periodo di tensione che arrivò fino al nostro paese, una strategia terrorista che si ritrova anche nelle pagine della sentenza sui mandanti del 2 Agosto. È quindi importante non dimenticare perché c’è un filo che collega quella storia con il nostro presente”.

Le motivazioni del conferimento sono state lette durante la cerimonia dalla delegata alla Cultura Elena Di Gioia.

Samuel Pinto nasce nel 1942 a Santiago del Cile. All’età di 16 anni si trasferisce in Argentina, dove
studia e lavora. Nel 1972 entra nel “Frente de Liberación Homosexual”, dove inizia il suo impegno
per il riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali.
Nel febbraio 1973 il governo di Allende si trova in grandi difficoltà. Ci sono attentati dinamitardi
giornalieri e si prepara il golpe. La situazione politica è grave per cui decide di abbandonare
l’Università di Buenos Aires e tornare a Santiago per difendere il governo socialista. Nella capitale
del Cile partecipa attivamente al processo rivoluzionario di Unità Popolare che si stava svolgendo
sotto la presidenza di Salvador Allende.
Poi arrivò il colpo di Stato dell’11 settembre ’73.
Due mesi dopo, nella disperazione più assoluta, fu costretto a fuggire dal suo Paese, dove radio e
televisione trasmettevano continuamente disposizioni militari minacciose e si sentivano spari
ovunque, con cadaveri che giacevano nelle strade. Una violenza inaudita.
Come molti, in quei giorni, decise di andare al Vicariato della Solidarietà, dei sacerdoti del Terzo
Mondo, dove si aiutavano i perseguitati politici.
“Mi dissero subito – ricorda Pinto in una intervista rilasciata qualche anno fa al sito di ‘Molèculas
Malucas’, in cui ripercorre la sua vita – che l’unico modo per fuggire dal Paese era saltare le pareti
di alcune ambasciate, ma che la maggior parte di esse era circondata da carri armati militari.
Sarebbe stato nascosto con altri due fuggitivi in un furgone guidato da un sacerdote. Nel momento
in cui avesse incontrato un’ambasciata senza militari nelle vicinanze, si sarebbe fermato e avrebbe
aperto il bagagliaio in modo che potessimo correre velocemente e scavalcare il muro per atterrare
dall’altra parte. Se il piano fosse fallito, saremmo stati tutti uccisi. Così, all’imbrunire, lasciammo il
vicariato nascosti nel retro di un furgone Citroën. Quando passammo davanti a un’ambasciata che
sembrava non avere miliziani nelle vicinanze, il sacerdote schiacciò i freni, scese rapidamente e aprì
il portellone del bagagliaio”.
Lo fece scendere, saltò il muro assieme agli altri fuggitivi e si trovarono in un grande giardino con
diverse persone nella stessa situazione. Pinto chiese dove fosse, gli risposero: “Sei nell’ambasciata
italiana!”.
Pinto restò all’Ambasciata italiana quarantacinque giorni, fino al dicembre 1973, quando Pinochet
autorizzò l’esilio di trentatré persone, tra cui lui. Arrivò in aeroporto, senza conoscere la
destinazione di arrivo, salì sull’aereo e seppe che l’avrebbero portato a Bologna.
Arrivato in Italia si dedicò per intero a denunciare le atrocità che si andavano perpetrando in Cile e
a chiedere la condanna della dittatura di Pinochet e la solidarietà internazionale.
Continuò parallelamente la sua militanza politica gay anche dall’esilio, sotto lo pseudonimo di Julio
Montero, il nome di un suo amore platonico dei giorni di Buenos Aires. A Bologna scelse di farlo
con un altro nome: Lola Puñales, un travestito ucciso nel 1973 dalle pallottole dei miliziani di
Pinochet.
Nel 1974, scopri il gruppo omosessuale chiamato FUORI! [Fronte Unitario Omosessuale
Rivoluzionario Italiano], che era attivo da tre anni a Torino ed era la base del movimento in Italia.
In quei giorni venne nominato“Delegato permanente del FLH argentino en Europa Occidentale”
con il compito di contattare i gruppi europei e le organizzazioni gay allora operanti per portare a
conoscenza i terribili fatti che stavano avvenendo in Argentina.
La sede bolognese del movimento fu a casa sua, tra il 1974 e il 1976, in via dello Scalo 20.
Prese parte attivamente al ‘77, con le proteste di piazza e con un piccolo gruppo composto da
operai, studenti universitari, artisti, persone del ceto medio di sinistra creò il “Collettivo Frocialista
Bolognese”.
Considerava necessario uscire dalla clandestinità per rendere visibile l’esistenza dei cittadini
omosessuali e dei loro diritti allora negati.
“Il Cassero è stato fondato nel 1982, ma ci pensavo fin dal 1974 – ricorda ancora Pinto
nell’intervista a ‘Moléculas Malucas’ – dopo avere visitato un centro gay a Stoccolma. Ero così
entusiasta di vedere quanto fosse importante avere un luogo tutto nostro che, già nel 1980, iniziai a
lavorare al progetto di chiedere al Comune di Bologna un luogo dove poter sviluppare le nostre
attività culturali e militanti […]. Durante la Giornata nazionale dell’orgoglio omosessuale del 1980 a
Bologna, che fu un evento incredibile e massiccio, riuscimmo a incontrare il sindaco della città, il
comunista Renato Zangheri, e gli chiedemmo pubblicamente uno spazio per le nostre attività. La
richiesta andò finalmente a buon fine nel 1982 e tra le opzioni che ci vennero offerte c’era un luogo
iconico, molto bello: Porta Saragozza del Comune di Bologna”.
Da lì il lungo cammino di una comunità, sempre più grande, e le tante battaglie per il pieno
riconoscimento di diritti e libertà, per tutti. Battaglie che hanno contribuito a rendere Bologna un
punto di riferimento per tante e tanti cittadini, italiani e non, che hanno trovato nella nostra città una
speranza, una casa, un luogo dove poter esprimere liberamente la propria identità, le proprie idee, le
proprie aspirazioni e lottare insieme agli altri per affermarle.
Da Santiago a Bologna l’impegno di Samuel Pinto, esule cileno, attivista, bolognese, è parte di
questa storia che appartiene al patrimonio della Città.
Per queste motivazioni il Sindaco e l’Amministrazione Comunale di Bologna conferiscono a
Samuel Pinto la Turrita d’argento.

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