Cinema

La zona d’interesse: il film del secolo che sfida Oppenheimer agli Oscar

Presentato lo scorso maggio al Festival di Cannes, dove si è aggiudicato il Grand Prix e una standing ovation di sei minuti, il film “La zona d’interesse” – che arriverà nei cinema italiani il prossimo 22 febbraio – sta riscuotendo un notevole successo tra pubblico e critica.

E’ stato premiato nelle categorie Miglior film e Miglior regista ai London Film Critics’ Awards e ha ricevuto ben cinque candidature ai prossimi Oscar come Miglior film, Miglior regia, Miglior sceneggiatura non originale, Miglior sonoro e Miglior film internazionale.

Fatta eccezione per quest’ultima categoria, nelle altre La zona d’interesse dovrà confrontarsi con un altro “film più importante del secolo”, “Oppenheimer”.

Non resta allora che aspettare la cerimonia degli Oscar il prossimo 10 marzo, per scoprire quale tra i dei due film più importanti del secolo riceverà anche l’ambito premio per il Miglior film.

IL TRAILER PER CINEPRESS

 

LA SCHEDA

Regia di Jonathan Glazer. Con Christian Friedel, Sandra Hüller, Johann Karthaus, Luis Noah Witte, Nele Ahrensmeier.

Titolo originale: The Zone of Interest. Genere Drammatico, Storico, – Gran Bretagna, Polonia, USA, 2023, durata 105 minuti.

Uscita cinema giovedì 22 febbraio 2024 distribuito da I Wonder Pictures.

Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13

SINOSSI

Rudolf Höss e famiglia vivono la loro quiete borghese in una tenuta fuori città, tra gioie e problemi quotidiani: lui va al lavoro, lei cura il giardino e i figli giocano tra loro o combinano qualche marachella. C’è un dettaglio però. Accanto a loro, separato solo da un muro, c’è il campo di concentramento di Auschwitz, di cui Rudolf è il direttore.
A dieci anni di distanza da Under the Skin, acclamato universalmente come una delle opere che ha meglio colto le inquietudini della contemporaneità, Jonathan Glazer si ripresenta con la trasposizione di un romanzo di Martin Amis.
Siamo di fronte ad un film ambizioso e collocato in un’epoca storica tristemente nota, quella degli anni ’40 e della messa in atto della Soluzione Finale da parte dei nazisti.
Ma è chiaro fin da subito come non sia la ricostruzione storica a interessare il regista, bensì la messa in scena di una situazione paradossale, così estrema da trasformarsi in un laboratorio di analisi della banalità del male e della separazione tra percezione soggettiva e realtà oggettiva.
Introdotto e chiuso da alcuni minuti di solo audio – una composizione di Mica Levi che sembra rievocare il suono di urla di dolore umane – il film di Glazer sceglie di introdurci alla vita di una famiglia rivelando gradualmente il contesto generale. Con un astuto gioco di campi e controcampi e una meticolosa osservazione del profilmico, in cui ogni dettaglio dell’inquadratura assume importanza, cominciamo a intravedere cosa ci sia al di là del muro, e quindi ad associarlo alle immagini note di una delle pagine più tragiche della storia dell’umanità. Svelato il mistero, tutto assume un nuovo significato e ogni situazione quotidiana sembra una versione distorta di quanto avviene al di là del muro: non saremo più in grado, come è giusto che sia, di interpretare con il medesimo metro di giudizio quanto avviene alla famiglia Höss.
Eppure, superato lo choc della scoperta, a emergere con vigore è il ruolo simbolico della rappresentazione messa in atto da Glazer. Una volta che tra spettatore e personaggi si è creato un distacco siderale, ecco che la sceneggiatura li riavvicina, insinuando il dubbio che sia proprio la normalità di alcuni piccoli gesti e dialoghi il monito nascosto di The Zone of Interest. I discorsi sulla carriera professionale di Rudolf, il ménage famigliare o il contrasto tra la personificazione di animali e piante a scapito dell’oggettivizzazione delle vittime di Auschwitz, la costante sensazione di vivere in una bolla, nella negazione di quel che avviene al di fuori, riproduce comportamenti e vizi della nostra contemporaneità borghese.

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