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Killers of the Flower Moon: la recensione di Martina Corvaia

Non c’è da fidarsi di nessuno. Né della tua famiglia. Né di tuo marito. E nemmeno di qualcuno che promette il bene e agisce invece per conto del male. Che cosa spinge un uomo a commettere omicidi? Si parla di costrizione da parte del boss della città che ti obbliga a eseguirli? Di manipolazione psicologica che si serve della debolezza interiore? O di raggiri di varia natura a cui non si può più fuggire?

La risposta è una: soldi. Denaro intriso di violenza. Che temi cari al regista di Quei bravi ragazzi (1990), Gangs of New York (2002), The Irishman (2019) e di tanti altri film passati alla storia del cinema. Si legge che il film più violento di Martin Scorsese sia L’età dell’innocenza (1993): non una violenza fisica che lacera la carne, più una violenza morale che strappa via l’anima. La uccide dall’interno. Cuore e mente arrivano a sposarsi nella lenta danza della morte. Killers of the Flower Moon è tutto questo. E oltre.

Il nuovo film di Scorsese ‒ ben 206 minuti parecchio intensi ‒ parla di morte. La morte della fiducia verso il prossimo, la morte del corpo, la morte spirituale. Di morte morale Killers of the Flower Moon si fa addirittura esemplare garanzia. La morte violenta, la vera protagonista di tutta la storia, ambientata sul territorio degli Osage in Oklahoma negli anni ’20. Anni in cui un uomo ricco, proprietario terriero, diventa ancora più spietato in un terra fonte di guadagno. William Hale (Robert De Niro) sfrutta l’occasione di arricchirsi ancora di più con il nipote Ernest Burkhart (Leonardo Di Caprio) che sposa l’Osage Mollie (Lily Gladstone). Un killer che non si ferma davanti a niente per il suo tornaconto economico, senza guardare nessuno in faccia. C’è una redenzione per chi tradisce la stima per qualcuno di importante?

Adattamento cinematografico del romanzo Gli assassini della terra rossa di David Grann, a sua volta tratto da fatti realmente accaduti, Killers of the Flower Moon è un thriller storico mascherato da western che annienta la psiche umana. Divorata dal denaro che soffoca tutti i valori umani. Nessun duello a colpi di pistola. Nessun piano americano. Solo cappelli da cowboy, tradizionali cerimonie funebri degli Osage e tanta, tantissima crudeltà. Brutalità che non ammette errori, verità (s)velate e mai accettate. Occhi che preferiscono essere bendati per la paura di rimetterci la pelle. Fino alla fine, omicidi e orrori si mescolano solo per uno scopo. E la violenza continua a regnare sovrana anche davanti al cupo viso di chi vuole denudare la natura dell’uomo messo alle strette. E la negazione diventa la migliore amica della violenza. Ancora più feroce di fronte all’evidenza. Che fine ha fatto l’amore tra due persone? Valgono più le quote ereditarie che la famiglia stessa?

Martin Scorsese, alla veneranda età dei suoi 81 anni, si dimostra ancora una volta il regista che sa cosa vuol dire mettere in scena le varie facce della violenza.
È proprio vero, non c’è da fidarsi di nessuno.

Voto: 9/10

Martina Corvaia

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