Cinema Le recensioni di Martina Corvaia

Il gusto delle cose: la recensione di Martina Corvaia

Juliette Binoche e Benoît Magimel in Il gusto delle cose (Credits: Lucky Red)

Il gusto delle cose, la recensione del film di Tràn Anh Hùng con Juliette Binoche e Benoît Magimel

Quanto sono belli i film in costume. L’atmosfera, la musica in sottofondo, il gusto raffinato per la moda del tempo, un amore da favola su uno sfondo paesaggistico francese del 1800, come un dipinto impressionista sul verde lussureggiante en plein air. Ma se l’occhio vuole la sua parte, anche il palato non è da meno: l’arte pittorica sposa l’arte culinaria, in un saporito sodalizio che dura da oltre vent’anni. Il gusto delle cose trasforma la cucina in un luogo romantico, una deliziosa sperimentazione che stuzzica le papille gustative tra piatti stellati da leccarsi i baffi.

Tràn Anh Hùng ‒ Leone d’oro al Festival di Venezia con Cyclo, 1995 ‒ mette in scena un affresco gastronomico, girato in piano-sequenza, come fosse una vorticosa danza di corpi che si muovono in una sorta di performance artistica per assaggiare, osare, farsi travolgere dai sapori della terra, mescolati finemente senza sbagliare aroma. Pochi dialoghi aprono Il gusto delle cose: più che parlare si fa, ci si spinge altrove, lì dove il piacere della lingua incontra il tatto e l’olfatto per creare un’opera d’arte. Non di pittura ma di cucina chic. Che succede quando la pietanza raggiunge un livello alto? Ci si addentra ancora più in là, la perfezione del piatto diventa un appeal che scatena la fame dei due chef, uniti dietro i fornelli e nella vita di tutti i giorni.

Il gusto delle cose assapora la carne cotta a fuoco lento, le zuppe, le verdure, le salse, i dessert combinandoli con il romanticismo tipicamente francese del famoso gastronomo Dodin-Bouffant (Benoît Magimel) che tenta in tutti i modi di mettere un anello al dito a Eugénie (Juliette Binoche), cuoca sopraffina e sua collaboratrice, innamorata della cucina e della sua libertà. Resiste, prepara, si concede un momento per lei tra una portata e l’altra. Alla fine cede alle lusinghe gastronomiche di Dodin, cucinando per lei cibi senza eguali. Il matrimonio è dietro l’angolo.

Presentato al Festival di Cannes lo scorso anno dove ha vinto il Premio per la Miglior Regia, Il gusto delle cose aggiunge quel pizzico di zucchero in più a un film che non è solo amore tenero fatto di parole poetiche sussurrate. È passione allo stato puro, senza sale e pepe: per la cucina, per la persona amata con cura e dedizione, venerata nel corpo e nell’anima, incorniciata in un quadro culinario ottocentesco che si affaccia sulla natura dolce e struggente allo stesso tempo. Ove si perde e si ritrova la retta via mossa dal desiderio irrefrenabile di amare, con o senza la donna al proprio fianco. Il gusto delle cose è una sinfonia di sapori che sprigiona un profumo inebriante di emozioni, avvolgendoci in uno squisito abbraccio tra i sentimenti umani. E chi meglio della talentuosa e ammaliante Juliette Binoche che a 60 anni incarna ancora l’ideale di amore francese, senza parole letteralmente.

Volutamente lento nel ritmo e con scene tagliate proprio sul più bello ‒ si avverte qualche problema tecnico nel montaggio ‒ Il gusto delle cose invade il grande schermo con la passione e l’ardore lodati nella nobiltà d’animo del bravo Benoît Magimel, elegante cavaliere d’altri tempi come la letteratura insegna. Sulla cucina, il film di Tràn Anh Hùng fa venire l’acquolina in bocca.

VOTO: 7.5/10

Martina Corvaia

Il gusto delle cose locandina film (Credits: Lucky Red)
Il gusto delle cose locandina film (Credits: Lucky Red)

Potrebbero interessarti

Cinema

A Hollywood rischia di bloccarsi tutto

Dopo gli sceneggiatori anche il sindacato degli attori non si è messo d’accordo con gli studios sul contratto La trattativa
Cinema

Il Premio Cipputi 2023 al film Il supplente di Diego Lerman

Va al film Il supplente di Diego Lerman, racconto della difficile esperienza di un insegnante nella periferia di Buenos Aires,