Cinema

Addio all’attore Ryan O’Neal, una vita tra alti e bassi e un talento solo in parte riconosciuto

Il pubblico cominciò a conoscerlo nella parte di Rodney Harrington, accanto a Mia Farrow, nella soap opera “Peyton Place”, andata in onda sull’emittente televisiva statunitense “ABC” dal 1964 al 1969.
Ma per tutti, Ryan O’Neal rimarrà Oliver Barrett, il ricco studente americano di Harward innamorato dell’italoamericana Jennifer Cavalleri in “Love story”, che gli valse la candidatura all’Oscar come migliore attore protagonista nel 1971 e il David di Donatello, come migliore attore straniero, l’anno successivo.
L’attore  si è spento all’età di ottantadue anni a Los Angeles, la città dove era nato il 20 aprile del 1941.
Di origini irlandesi, inglesi ed ebraiche ashkenazite, ha incarnato il prototipo dell’uomo americano tormentato e di bell’aspetto, fomentato dalla sua stessa vita familiare e sentimentale irrequieta e sopra le righe.
Un roller coaster tra abusi, droghe, scappatelle coniugali, arresti e una relazione tossica e inquieta con i figli, soprattutto quelli avuti da Joanna Moore, Griffin e Tatum: con quest’ultima, nel 1973, girò “Paper Moon”, memorabile pellicola di Peter Bogdanovich con il quale la baby interprete – all’epoca decenne- conquistò l’Oscar e tanti altri premi.

Ryan O’ Neal e la figlia Tatum in “Paper Moon”

Negli ultimi tempi, tra alti e bassi, il rapporto tra Tatum e il padre era migliorato.
Insanabile, invece, era stata la relazione conflittuale con Griffin: “epico” il loro litigio nel 2007, a Malibù, che costò a Ryan l’arresto per avere sparato al figlio con una pistola.
Come attore, molto probabilmente, Ryan O’Neal è stato sottovalutato: le sue vicende personali e la fama che aleggiava attorno a lui hanno preso il sopravvento, malgrado abbia recitato in autentici capolavori e sia stato diretto da registi di primo livello.
Basti pensare al ruolo da protagonista in “Barry Lindon”, tra le pellicole più emblematiche di Stanley Kubrick.
Fu proprio il regista statunitense a esaltare le doti interpretative di Ryan O’Neal, in una storica intervista al giornalista e critico cinematografico francese Micheal Ciment.
“Non riesco a concepire uno che avrebbe interpretato meglio Barry – affermò il regista parlando dell’attore – e malgrado siano grandi talenti, nemmeno Al Pacino, Jack Nicholson e Dustin Hoffman avrebbero potuto intrepretare quel ruolo”.
Era il 1975.

LA NOTIZIA DELLA MORTE 

Malgrado la fama di pessimo genitore che lo ha sempre accompagnato, Ryan O’Neal è stato ricordato con amore dal figlio Patrick, nato dalla relazione con la seconda moglie Leigh Taylor-Young.
“Mio padre – ha annunciato il terzogenito – è morto in pace, con la sua amorevole squadra accanto che lo ha sostenuto e amato come lui avrebbe fatto con noi”.
Da tempo, l’attore era ammalato: nel 2001 aveva scoperto di essere affetto da leucemia e, nel 2012, gli era stato diagnosticato un tumore alla prostata.
Malgrado ciò, aveva continuato a recitare sino a dodici anni fa: nel 2006 entrò a far parte del cast della serie televisiva statunitense ‘Bones’, nel ruolo del padre della protagonista Temperance Brennan e, nel 2010, prese parte ad alcuni episodi della storica serie “90210”.
Per uno strano gioco di sovrapposizioni tra cinema e vita reale, fu chiamato a interpretare il ruolo di Spence Montgomery, padre disattento e disfunzionale di Teddy, interpretato dall’attore Trevor Donovan.
Padre, Ryan O’Neal, lo è stato per ben quattro volte: oltre a Tatum, Griffin e Patrick, ha avuto Redmond, nel 1985, dal grande amore della sua vita, la collega Farrah Fawcett.
La coppia prese  a frequentarsi nel 1979 clandestinamente e si separò nel 1997, senza mai sposarsi.
Nel 2001 i due attori tornarono insieme fino alla morte di lei, avvenuta nel 2009: Ryan rimase accanto all’indimenticabile interprete di “Charlie’s Angels” fino alla fine, giunta a causa di un cancro ad appena sessantadue anni.
Esempio di “golden couple” hollywoodiana, hanno rappresentato, nell’immaginario collettivo dello show-biz, l’emblema di una relazione fortissima, seppure funestata dai tradimenti di lui.
Furono insieme anche sul set: in “Sacrificio d’amore” nel 1989 e nella serie televisiva “Good Sports” nel 1991.
“Sono un’idiota”, disse l’attore descrivendo se stesso all’interno della storia, una vera e propria anti-favola americana frastagliata e costellata da tormenti.

UN TALENTO SOLO PARZIALMENTE RICONOSCIUTO 

Istintivamente bravo, capace di una recitazione naturale difficilmente inquadrabile in scuole e metodi, Ryan O’Neal era figlio d’arte.
Il padre era lo scrittore e sceneggiatore Charles O’Neal, statunitense di origini irlandesi e inglesi.
La madre era l’attrice Patricia Ruth, anche lei statunitense ma con ascendenze irlandesi ed ebraiche.
Di bell’aspetto, con una mascella perfetta e una fisicità da american boy resa ancora più attraente dall’origine europea, Ryan O’Neal non è stato soltanto penalizzato dalle vicende private ma anche dall’indiscussa prestanza.
Un elemento che lo rendeva inadatto ad alcuni ruoli, malgrado le notevoli capacità espressive.
Fu anche preso in considerazione per le parti di Rocky Balboa in ‘Rocky’ nel 1976 e di Michael Corleone nel ‘Padrino’ , nel 1972, anno in cui fece coppia con Barbra Streisand in “What’s up, Doc?”, incursione nella commedia demenziale che racconta un talento poliedrico capace di attraversare i generi senza smentire se stesso.
Ma il film che più di ogni altro dà giustizia alle sue doti interpretative è “Paper Moon”.
Ryan O’Neal giganteggia in un american comedy-drama che fece da apripista ai road movies.
Tratto dal romanzo “Addie Pray” di Joe David Brown, il film è – ancora una volta! – la storia di una paternità non convenzionale.
Protagonista di un’epoca d’oro di Hollywood, Ryan O’Neal ha sempre anteposto la vita vera al cinema, pur amandolo visceralmente.
Fonte foto Facebook

 

 

 

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