Cinema

Addio all’attrice americana Gena Rowlands, musa di John Cassavetes e antidiva

La sua interpretazione più riuscita è stata quella di Marion Post, protagonista di “Un’altra donna”, considerato dalla critica specializzata il miglior film di Woody Allen.
Gena Rowlands, di donne, ne ha portate sul grande schermo davvero tante.
Ognuna di loro ha rappresentato alla perfezione il concetto di transizione, in bilico e in conflitto tra presente e passato eppure in grado di riconciliarsi con la vita attraverso la forza evocativa del ricordo e dell’esperienza.
L’attrice, nata a Madison nel Wisconsin, il 19 giugno del 1930, è deceduta nella sua casa californiana circondata dai familiari: da tempo, ormai, era affetta dal morbo di Alzheimer ma già nel 2015 si era ritirata dalla scene, dopo avere ricevuto un Academy Award onorario alla carriera.
Carriera da antidiva malgrado il talento strabordante, la personalità incisiva, i numerosi riconoscimenti e il matrimonio con uno dei massimi registi indipendenti di tutti i tempi: John Cassavetes, con cui diede vita a un sodalizio professionale importante recitando in dieci delle sue pellicole e di cui fu musa indiscussa, raccontando storie di gente comune, sconfitte e vite apparentemente ordinarie.
Per trentacinque anni, lei e il coniuge di origini greche furono una delle golden couples più amate e rispettate di Hollywood: un legame finito con la morte di lui, nel 1989, che ha rappresentato un unicum nella storia del cinema.
Icona americana, Gena Rowlands è stata tuttavia un’attrice atipica: molto influenzata dal pathos e dalla sensibilità ellenica del marito, ha interpretato spesso donne concitate, nervose, malinconiche e squilibrate come in “Una moglie”, insignificante – e fuorviante – titolo italiano di “A woman under the influence”.
L’anno è il 1974, la società statunitense era in subbuglio: nel pieno della connessione tra personale e politico, il movimento femminista americano si afferma e John Cassavetes compie il passo più azzardato della sua carriera realizzando un film incentrato sui problemi psicologici di una casalinga apparentemente priva di ambizioni e desideri di indipendenza.
“Una moglie” lascia il segno: nessuna come Gena Rowlands – e, negli anni successivi, Jane Fonda – è stata in grado di dare voce con tanta intensità all’alienazione familiare della working class a stelle e strisce, ed è impagabile la grazia con cui lo fa.
Eppure, la sua sensibilità era tutt’altro che blue collar: figlia del deputato Edwin Myrwyn Rowlands e della casalinga Mary Allen Neal, nel 1939 si trasferì con la famiglia a Washington, ben lontana dalle atmosfere della classe operaia.

In assoluto la più europea tra le attrici statunitensi, Gena Rowlands fa rivivere la lezione di Ingmar Bergman, in un’interpretazione che sintetizza le angosce del maestro svedese, riattualizzandole però secondo una formula sua e solo sua, destinata a non avere eredi.
Non era stato, forse, John Cassavetes e trasmetterle il metodo dell’improvvisazione controllata?
Ovvero quello in cui l’attore è molto più di un interprete perché concorre alla realizzazione dell’opera attraverso un rapporto libero e sfumato con la macchina da presa.
I legami familiari sono stati fondamentali nella vita artistica di Gena Rowlands, diretta anche dai figli Nick e Zoe Cassavetes.
Di particolare rilievo la collaborazione con il primo, per il quale recita in alcune pellicole come  “Una donna molto speciale”- che segna il debutto registico del figlio d’arte nel 1996 – e l’anno successivo, “She’s so lovely”.
Nel 2004, ancora una volta diretta dal figlio, è tra i  protagonisti di “The notebook” tratto da un romanzo di Nicholas Sparks in cui, fatalmente, vestiva i panni di una donna affetta dall’Alzheimer.
Sono ormai lontani i tempi di “Gloria”, road movie incandescente in cui l’attrice spara come un uomo, corre e agisce da gangster senza perdere un grammo di femminilità.
Forse la forza interpretativa di Gena Rowlands è racchiusa nella sua convinzione, più volte espressa, dell’impossibilità di archiviare una parte dopo averla recitata.
E nella naturale coincidenza tra la donna e l’attrice.
“Non potrei mai avere una faccia impassibile – diceva – chiunque mi guardi può capire esattamente cosa sto pensando.”

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